La lingua come un diritto da condividere: scuola di italiano libera e gratuita LiberaLaParola

Sono tra le fondatrici della Scuola di Italiano Liberalaparola, che è nata incrociando un bisogno reale del territorio in cui vivevo (Marghera-Venezia), ovvero quello di tanti migranti, spesso senza permesso di soggiorno, che avevano bisogno di imparare la lingua italiana, ma anche di trovare un luogo in cui sentirsi al sicuro e potere esercitare la propria socialità.

Da prima eravamo solo quattro ragazze. Nel giro di quattro anni siamo diventati una trentina di insegnanti. La scuola è ospitata dal Centro Sociale Rivolta, un luogo simbolo di tante battaglie politiche radicali per la giustizia sociale, l’antirazzismo, la difesa dei beni comuni. Questo permette di avere spese solo per i materiali, e di potere avere gli spazi anche per organizzare cene e feste di autofinanziamento che servono anche per coinvolgere gli studenti nelle attività della “loro” scuola.

Cosa è la scuola d’italiano ?

La scuola infatti non è solo una scuola di lingua italiana. La parte relativa all’insegnamento dell’italiano è fondamentale perché se non si parla la lingua del posto in cui si vive non si può fare assolutamente nulla e , ovviamente, non si ha la minima possibilità di potere rivendicare i propri diritti (e neppure, ancor prima, di comprendere quali sono). La lingua italiana è il primo dei diritti, secondo noi, soprattutto in un paese in cui questa è trasformata in un ricatto da formule burocratiche razziste e crudeli come “l’accordo di integrazione” che si traduce nel “permesso di soggiorno a punti”, che funziona come la patente a punti: se ti comporti “bene” guadagni punti, se ti dimentiche di pagare una bolletta o prendi una multa i punti li perdi fino a rischiare l’espulsione. La lingua, in tutto questo, viene usata, appunto, come ricatto: o la sai o non avrai il permesso di soggiorno. Senza però dare in cambio neppure corsi di italiano gratuiti e accessibili. Insegnare la lingua italiana in questo contesto, e insegnarla a tutti e gratuitamente, senza mai chiedere a chi hai davanti se abbia o meno un permesso di soggiorno, per noi diventa allora un’azione politica: significa sottrarsi alle logiche di “un’esistenza a punti”. Noi la insegniamo tre volte a settimana per un’ora e mezza. Abbiamo corsi di tre livelli, anche se è impossibile avere classi fisse perché gli studenti, per ragioni strutturalmente connesse al tipo di vita che fanno, non possono spesso garantire una continuità.  Ovviamente, tutti gli  insegnanti sono volontari. I nostri studenti vengono da quattro diversi continenti e da decine e decine di paesi. La scuola è serale (a partire dalle 19:00) perché molti di loro durante il giorno lavorano.

Cos’ altro fate ?

Come dicevo l’insegnamento della lingua non è tutto. Ci sono le cene della scuola, cui ho già accennato, per  le quali gli studenti passano un giorno intero a cucinare nelle cucine del Rivolta piatti tipici dei loro paesi di provenienza e durante le quali tantissime persone esterne vengono a sederci a tavola con noi per sostenere e finanziare la scuola e anche perché, ormai lo sanno, si mangia benissimo. C’è poi la “scuola senza tetti” che è un’iniziativa che facciamo una volta ogni paio di mesi uscendo nelle piazze della città con banchi, sedie e lavagne. In quell’occasione sono i nostri studenti che un giorno diventano insegnanti della loro lingua per i passanti italiani. Il nome deriva non solo dal fatto di insegnare all’aperto, ma è anche una provocazione contro quella norma dell’ex ministro dell’istruzione italiana che voleva “un tetto” massimo di bimbi stranieri del 30% per classe. Una norma vergognosa che prevede che i bambini di origine non italiana, se ce ne sono “troppi” in un quartiere, vadano a scuola anche a diversi chilometri di distanza da casa…

In giornate come queste si riescono a comunicare molti contenuti antirazzisti. L’ultima volta, una settimana fa, abbiamo fatto fare ai passanti una sorta di percorso guidato tra tanti cartelloni pieni di  domande di educazione civica italiana (quelle che si fanno ai migranti per avere il permesso di soggiorno) per fargli capire cosa vuol dire giocarsi la vita ”a punti” in questo modo. Molti italiani, ovviamente, non conoscevano le risposte.

C’è poi il corso di teatro, che i nostri studenti adorano, e attraverso il quale si è preparata quest’anno la sfilata di carnevale, che a Venezia è così importante. e poi i tornei di calcio a cinque nei parchi pubblici, e tante altre attività tutte volte a parlare alla città dei problemi quotidiani dei migranti, e a dare ai nostri studenti occasione per costruire iniziative in cui possono sentirsi liberi (di essere se stessi senza paura che qualcuno venga da un momento all’altro e gli chieda dei documenti. Non è mai successo, con noi sono abbastanza al sicuro).

Ovviamente, ciascuno di loro deve prima capire che noi non siamo un servizio del Comune, che la scuola nasce da una visione non neutrale ma profondamente politica del mondo, che nessuno di noi è pagato, ecc. poi, ovviamente, se uno vuole solo imparare la lingua e farsi i fatti suoi può farlo comunque.

Alla fine, la nostra scuola, pur essendo del tutto informale e in un luogo occupato, è segnalata nei circuiti del Comune tra quelle più rilevanti del territorio, è invitata ai tavoli aperti con la prefettura sui profughi e ha avuto negli anni un riconoscimento sempre maggiore. Del resto, siamo attraversati oramai da centinaia di studenti all’anno.

Quale sono i principale problemi ai quali sieti confrontati ?

I rischi sono sempre quelli: diventare ammortizzatori sociali invece che realtà capaci di sottolineare le contraddizioni. Sostituirsi ai servizi sociali e farlo pure gratis… ma alla fine l’importante è non perdere mai di vista gli obiettivi politici, i nostri contenuti, come quello della battaglia contro il permesso di soggiorno a punti. Se alla fine riusciamo a veicolare quelli e a non accettare compromessi sulla sostanza delle cose, il rischio vale certamente la pena di essere corso. Noi proponiamo un nuovo modello di welfare dal basso, che è vero che non ha costi per le istituzioni e quindi potrebbe anche, in questo senso, risultare “compatibile”, ma è anche vero che resta per loro fuori da ogni possibilità di controllo (nei nostri confronti e nei confronti dei nostri studenti).

Difficoltà più logistiche sono quelle legate al problema di avere classi sempre variabili, persone in movimento anche in rapporto alla scuola, e quindi di dovere sempre improvvisare. Ma anche questo si impara. A volte ci si ritrova con più di cento persone in una grande stanza e bisogna tirare fuori tre livelli e quattro o cinque classi e separarli in ciascuna di esse lì per lì, e magari venti degli studenti non li hai mai visti…

Poi c’è la questione delle donne, che sono ancora tropo poche. Abbiamo provato a fare corsi di mattina e dedicati solo a loro (dopo mille discussioni per decidere se fosse giusto o sbagliato andare incontro a questi bisogni “culturali” che a volte si rivelano essere più che altro pretese maschili di controllo da parte dei mariti o dei fratelli…), ma non ha funzionato lo stesso.

Sarebbe importante forse affiancare alla scuola anche un servizio di baby sitting, ma ci vogliono strutture diverse per poterlo fare…

Una parola conclusiva.

Esperienze come la nostra ne stanno sorgendo tante in Italia. Noi facciamo parte di una rete di scuole libere, di cui vi riporto il manifesto, scritto tutti insieme nel corso di un’assemblea che ha visto confrontarsi dieci città italiane:

<< Parlare la lingua del luogo in cui si vive è indispensabile per potere esprimere se stessi, i propri bisogni, i propri desideri, e lo è ancora di più per difendere i propri diritti e difendersi dai soprusi e da ogni forma di violenza. Il fatto di poter imparare la lingua è un diritto  esso stesso: uno di quei diritti fondamentali che non possono essere condizionati da qualsivoglia status giuridico o sociale.

In Italia, invece, come in tanti paesi d’Europa, la lingua è stata trasformata dalle ultime normative in materia di immigrazione in un criterio escludente e selettivo. Il test obbligatorio per l’ottenimento del permesso di soggiorno di lungo periodo, e ancor di più quello che fa da corredo al nuovo “permesso di soggiorno a punti”, ultimo ritrovato del razzismo creativo promosso della Lega Nord, ne sono solo alcuni esempi.

A fronte di pretese sempre più demagogiche e irreali rispetto a  quello che i migranti dovrebbero fare per potere abitare in situazione regolare sul territorio italiano, inoltre, sempre meno servizi vengono realizzati a sostegno del loro percorso di immigrazione. I pochi che rimangono sono ogni giorno più soggetti a criteri che li rendono sostanziali strumenti di schedatura e identificazione poliziesca, volti al controllo più che al supporto delle persone. Questa situazione si inserisce in un panorama più vasto, quello dell’impoverimento sociale, della devastazione del welfare e della regressione dei diritti che le politiche della crisi stanno provocando per tutti. 

Noi, le scuole di italiano libere, lavoriamo sui nostri territori da anni, cercando di praticare nella nostra quotidianità un modello contrario e alternativo a tutto questo. Insegniamo la lingua a centinaia di donne e uomini all’interno dei luoghi del movimento, quasi sempre nei centri sociali, alimentando spazi liberati da ogni logica selettiva e di controllo delle persone. Per noi nessuna persona è “illegale” e non chiederemo mai a chi viene a imparare l’italiano tra i nostri banchi un permesso di soggiorno. I nostri corsi sono completamente gratuiti, le nostre lezioni sono costruite sui bisogni di chi viene a seguirle. Affrontiamo tutti i giorni la contraddizione di contrastare un sistema di cui rischiamo a volte di diventare ammortizzatori sociali a costo zero, come quando aiutiamo le persone a prepararsi per i test di lingua italiana imposti dalle leggi che combattiamo, o come quando ci troviamo a fare da insegnanti di sostegno a giovani cittadini della seconda generazione delle migrazioni, che soffrono più degli altri dei tagli sociali che hanno fatto scomparire dalle scuole pubbliche le figure dei mediatori.

Ma noi, le scuole di italiano libere, di questa stessa contraddizione siamo consapevoli, e costruiamo costantemente, proprio a partire dall’apprendimento della lingua, percorsi di interazione che hanno tra i loro obiettivi quello di  unire insegnanti e studenti rispetto a battaglie di giustizia sociale e antirazzismo. In questo senso la nostra strada incrocia pienamente e si sente parte di spazi pubblici e politici di movimento, come “Uniti per l’alternativa”, che lavorando concretamente nella realtà complessa che stiamo vivendo, propongono vie del tutto nuove per uscire dalla crisi senza farla pagare ai più deboli, ai migranti, agli studenti, alle famiglie italiane costantemente imbrogliate da chi delocalizza le loro ansie evocando scenari di “guerra tra civiltà” e rappresentazioni di diritti come posta in palio nelle “guerre tra poveri” che rischiano, nelle congiunture attuali, di provocare danni sociali e culturali difficilmente reversibili.

La Rete delle Scuole Libere è un percorso aperto e condiviso che nasce per unire e dare forza alle tante esperienze diffuse che contribuiscono quotidianamente, tramite l’insegnamento della lingua, alla costruzione di una società più giusta, coraggiosa e solidale. >>

Per piu informazione : http://liberalaparola.wordpress.com

Scuola di italiano libera e gratuita LIBERALAPAROLA c/o Centro Sociale Rivolta, Via Fratelli Bandiera 45, Marghera Venezia.

Impressionante

Ciao Alessandra, che bella iniziativa! Come molte cose veramente di pregio, mi pare di avere capito che Liberalaparola nasce come scuola di italiano perché la lingua è il primo abilitante; ma in realtà mette al centro dei suoi interessi la comunità di persone che intercettate. Con loro studiate, mangiate, fate teatro, giocate a calcio, insomma ci vivete. Probabilmente alcune di queste persone sono diventate amiche personali, e l’aspetto umano del rapporto è molto importante.

Però scusa: tutto gratis? Ok al limite regalare lavoro, ma non avete bisogno di un minimo di struttura, lavagne, tavoli, cose così? Tutta roba del CSO? Da italiano trovo la vostra storia esaltante, ma anche umiliante per non dico l’assenza, ma nel vostro caso l’ostracismo aperto delle istituzioni locali, governate (lo scrivo per i non italiani che ci leggono via Google Translate) da un partito xenofobo che si chiama Lega Nord.

Nota personale: molti anni fa suonavo in una band amata-odiata dai centri sociali, e al Rivolta siamo venuti diverse volte. Mondo piccolo. :slight_smile:

Ciao Alberto, scusa se rispondo solo ora e innanzitutto grazie per avere pubblicato la storia di Liberalaparola e per le cose belle che hai detto su questa esperienza.

In realtà il Rivolta ci mette a disposizione gli spazi (oltre che tante altre risorse preziose), e questo  risolve il problema logistico di fare scuola in un posto riscaldato e accogliente. Per il resto LIberalaparola si autofinanzia soprattutto con le cene preparate dagli studenti. quando le organizziamo (una volta la mese circa), vengono sempre almeno cento persone felici di contibuire e di passare una bella serata, e in questo modo facciamo cassa per la cancelleria e le altre spese necessarie coinvolgendo anche gli studenti nell’urgenza di reperire fondi per la “loro” scuola. è fondamentale che capiscano da subito la differenza tra noi e un servizio gestito da stipendiati, e questo è un ottimo modo anche per sviluppare la gestione comune di un bene comune come la scuola.

In un paese in cui i servizi di welfare ufficiali diventano sempre più uno strumento di controllo, la nostra indipendenza anche economica significa libertà: libertà di non chiedere mai a nessuno un documento, per esempio, che è una cosa che ci ripugna.

Non si tratta di un servizio critatevole, come sono certa che sai già, ma di un intervento che rispecchia una visione profondamente politica anche se non ideologica. e infatti andiamo ai tavoli istituzionali se ci chiamano e ci relazioniamo con le amministrazioni ogni qual volta questo sia possibile senza arrivare a compromettere nessuno dei nostri valori fondanti. Primo tra tutti: nessun essere umano è illegale. Con tutta l’avversione per gli slogan, questo è prezioso.

Infine, tante amicizie si sono sviluppate a partire dalla nostra scuola, e persino degli amori, un matrimonio tra un’insegnante e uno studente che ha dato vita a una bimba che sta nascendo in questi giorni.

Ma per tante storie felici ce ne sono altre terribili: amici arrestati e internati nei centri di detenzione solo perché senza un permesso di soggiorno o con un permesso scaduto… altri espulsi… altri impazziti dalla depressione nonostante tutti i nostri sforzi.

Ma l’esperienza resta comunque meravigliosa. Veniteci a trovare

e grazie ancora!

Dove la Wikicrazia non arriva

Sai, io ho scritto addirittura un libro per proporre la collaborazione costruttiva tra cittadini e istituzioni. Per chi come me ha a cuore il tema è umiliante constatare situazioni come la vostra. Quello che fate in altri paesi si chiama social innovation, ce n’è poca e le autorità inseguono i pochi veramente bravi per faiutarli a crescere. Se vuoi ti presento James, che a Sheffield ha uno spazio in cui realizza un miscuglio complicato di arte, formazione professionale e politiche sociali (la sua storia è qui). Ha i suoi problemi, ma il rapporto che ha con le istituzioni non è certo quello che racconti tu.

Speriamo di vederci presto. Perché non venite a Strasburgo per la nostra conferenza?

PS - Mini-consiglio: ti posso chiedere di aggiornare il profilo e mettere una foto, così togliamo quella brutta sagoma grigia dell’avatar di default? Si fa da qui, cliccando su “Edit my personal info” e “Edit my edgeryders profile”.

se il problema sono le leggi

Il problema, ci tengo a precisarlo, non è con le istituzioni locali che qui a venezia sono anche molto più aperte e coraggiose che in molte altre città d’Italia e sono in completa dissonanza con le politiche della Lega Nord che impazza invece in quasi tutto il resto del veneto. Il nodo sono le politiche migratorie italiane (in linea purtroppo con quelle di tanti paesi europei) che criminalizzano i migranti trattando chi non ha un documento  o ce lo ha scaduto al pari di pericolosi delinquenti. Le leggi sull’immigrazione sono negli anni state peggiorate da innumerevoli “pacchetti sicurezza” (l’ultimo dei quali ha trasformato la conoscenza della lingua in un dovere/ricatto prima che in un diritto) che costringono molti servizi a diventare strumenti di controllo. dentro questo panorama giuridico le istituzioni hanno poco da fare, a meno che non avviino improbabili campagne di disobbedienza civile…

grazie per l’invito a Strasburgo, lo proporrò al gruppo della scuola

aggionerò il profilo prima possibile

a presto

Mi correggo

Grazie della precisazione, mi correggo.

Avevo dimenticato il link alla storia di James: http://edgeryders.ppa.coe.int/spotlight-social-innovation/mission_case/access-space-new-model-individual-and-community-development

Ciao!