La mia esperienza

 Come fate voi per sfuggire al precariato, ai compensi bassi, ai lavori banali e umilianti? Come possono i responsabili delle politiche europee imparare dalla vostra esperienza? Sareste disposti a condividerla?

La domanda alla base di questa missione è la domanda alla base della dignità delle persone che vanno oggi dai 20 ai 45 anni, io credo. Io non sono più giovane, ma quando ho iniziato a lavorare dopo il percorso di studi avevo 25 anni e ormai ne sono passati 15. Avendo interesse nelle cose sociali ho fatto una facoltà umanistica e questa scelta non mi ha certo aperto molte porte dal punto di vista professionale; però dopo l’Università ho scelto un ambito che mi piaceva e che mi sembrava adatto alle mie sensibilità sociali, e ho cercato di puntare a specializzarmi in qualcosa di specifico. Ho scelto la ricerca socio economica e in particolare il monitoraggio e la valutazione come ambito di approfondimento che mi ha accompagnato fino ad oggi nella maggior parte delle esperienze professionali che ho fatto fino ad ora. Ho sempre lavorato da allora, senza mai un giorno di pausa, nè momenti di disoccupazione, ma la sensazione che avevo all’inizio e che non riesco ancora oggi a scrollarmi di dosso è quella della mancanza  cronica di opportunità. Nel senso che le cose che ho fatto, i contratti che ho sempre portato a termine con successo sono sempre stati realizzati per enti di primissimo livello, su esperienze pilota pluriennali a livello nazionale, regionale e provinciale nel sociale, nel sanitario, nel settore culturale, ma in contesti realmente libero professionali intesi come contratti a termine, o a progetto mirati all’ottenimento di risultati specifici e puntuali e non alla ripetitività dell’esperienza. Del resto la mia indole non è mai stata tendente alla ricerca del posto fisso, e cambiare contesto periodicamente mi ha sempre stimolato a cercare di fare bene e affermare la mia professionalità in tanti luoghi diversi.

Il mio modo di sfuggire all'idea di precarietà che è diventata base della flessibilità in Italia per abbattere i costi del lavoro, situazione dalla quale non mi ritengo ancora salvo, è stato smettere di pensare di lavorare solo per mantenermi mese per mese, ma iniziare a pensare a come fare diventare il mio lavoro un investimento... per me stesso e altre persone che, come me, volevano raggiungere questo fine e che avevano competenze complementari alle mie.
Ho provato scientemente a uscire dal meccanismo mentale di star sotto a qualcuno in qualche situazione prederminata, uscendone sotto forma di start up professionale, allorquando capivo di avere la forza per imporre la mia figura, o il gruppo di lavoro, proprio come start up autonomo dalla istituzione in cui lavoravo e che era (sempre!) impostata per sfruttare il lavoratore intellettuale senza dargli alcuna certezza di nessuna natura e alcun diritto assimilabile a quello dei dipendenti fissi (a prescindere dalla parte politica che le governava), ma che in quel momento aveva tanto delegato a me/noi responsabilità e compiti, da non poter fare a meno di me e del mio gruppo di lavoro. Mi è successo tre volte, in tre città diverse (Mantova, Parma e Bologna) in luoghi di lavoro pubblici e privati in cui, ho trovato sempre le stesse logiche e le stesse modalità di comportamento da parte dei manager che gestivano i settori in cui prestavo la mia opera.
Alla base di questo tentativo/desiderio a cui ho cercato di dare gambe e spirito c'è stato però il tentativo di creare qualcosa di utile davvero, che fosse basato sulle nostre competenze e su quello che a mio e nostro giudizio il mercato non offriva già.
Nel mio ambito posso dire di esserci riuscito ma pur lavorando da 15 anni pieni, non mi considero ancora uscito dal rischio che vedevo 15 anni fà.
Sarei fiero di portare la mia esperienza in un contesto un cui potesse servire per qualcun altro (per questo mi ero candidato per partecipare a Edgeryders), per far sì che nella società intorno a noi e in quella che i miei figli si troveranno ad affrontare ci siano sempre più spazi nel mondo del lavoro, e persone disponibili ad occuparli, in cui sia possibile provare ad uscire da logiche pre definite che a volte, credo, sono anche una scusa per molti a non prendersi responsabilità e ad adattarsi in modo placido ad una vita di rinunce professionali pur di avere qualcosa di certo, o che a loro in quel momento storico pare certo ma che non è detto che lo sia per sempre.

English synthesis and a comment on meritocracy

For those who do not read Italian and don’t like Google Translate: Renato moved out of your typical exploitation-of-intellectual-workers situation by investing in building capacity. From a humanities background, he moved into economics and specialized into evaluation and monitoring. This enabled him to work independently, never suffering a dry spell for 15 years. In later years this took the form of a company.

Capacity works for Renato: he can do things that long-time employees of public AND private organizations can’t. They depend on people like him to function. So Renato and his peers can consistently make a living.

But not all is well. After 15 years, Renato still feels that he is not safe from the risk of being exploited. A kind of reverse meritocracy seems to be at work: he and his peers are ever-precarious, though they are indispensable to do the work that for-life employees are unable to do; and the labor market that awaits his children is ready to make them choose between professional integrity and job security.

No, not all is well. My comment: the dual labor market that has been built in Italy is very likely non-meritocratic. Trade unions have probably played a negative role, retreating to defending the insiders rather than extending opportunities for all (everybody remembers the strikes to defend the unstatinable salary levels at Alitalia, that was losing tankfuls of taxpayer money added to the famous 1.9 trillion euro of Italian sovereing debt).