(note: English translation is available here)
Una rivoluzione copernicana a lungo attesa!
Ecco, se dovessi riassumere in una frase breve e concisa, questo è quanto vivo e quanto vorrei trasmettere al lettore in merito al Progetto OpenCare.
Diluendo più prosaicamente il complesso composto “chimico”, che costituisce al momento per me questo Progetto, non posso non focalizzare l’attenzione su alcuni elementi costituenti questa esperienza, attualmente agli esordi, che auspico veramente possa dare a ciascuno di noi la certezza di una rinnovata consapevolezza della capacità di ideazione, di progettazione e di realizzazione dei nostri desideri e delle nostre legittime istanze nonostante i luoghi comuni ed i pregiudizi tutt’ora radicati riguardanti le persone “portatrici di bisogni particolari”, piuttosto che “dis-abili”, “diversamente abili”, “handicappati”, “minorati”, “non autosufficienti” e tutto ciò che la storia culturale ha elaborato a suon di termini da etichetta continuino ad ostacolare il nostro incedere.
Il primo elemento che individuo, già presente all’incipit, è sicuramente quello della sorpresa dovuta essenzialmente al fatto di essere chiamati in prima persona ad una azione “materica”, concreta, finalizzata alla costruzione di un oggetto piuttosto che di una più complessa soluzione che ci aiuti a superare una difficoltà quotidiana o ci consenta, più in generale, di raggiungere piccoli o grandi traguardi individuali in materia di autonomia, di integrazione, di partecipazione e di cittadinanza attiva attraverso il diretto coinvolgimento delle nostre conoscenze e delle nostre competenze.
La storia del variegato quanto complesso arcipelago dei bisogni è infatti costellata da grandissime battaglie umane, sociali, civili e politiche che, nel corso degli ultimi decenni, hanno portato alla conquista di un riconoscimento degli individui quanto persone, in primis, di diritti e doveri alla assistenza, alla istruzione, alla integrazione nel mondo lavorativo e produttivo, più recentemente, sino alle più che attuali importanti lotte per una vita autonomamente gestita che riconosca definitivamente lo status dell’autodeterminazione - o della tutela - nel difficile contesto del vivere pienamente e realizzare compiutamente un progetto che vada oltre la “cura” da parte dei propri cari, oltre a quella delle istituzioni. Successi e difficoltà che tuttavia solo in questi ultimi anni hanno visto agire nei processi decisionali con un riconosciuto ruolo di protagonisti le persone direttamente interessate. Un cammino spessissimo difficoltoso, che richiede abnegazione oltre che motivazioni solide ed acquisite competenze sul campo, attuato da pochi in favore di molti spesso non consapevoli, iterando almeno per i secondi una sorta di continua delega in bianco in merito al proprio futuro.
Un colpevolmente atteggiamento passivo, che caratterizza tutt’ora l’esistenza di chi bisognoso di particolari attenzioni, che la forza “destabilizzante” del Progetto può mutare risvegliando le coscienze di quei molti che potrebbero e dovrebbero veramente mettersi in gioco.
Il secondo elemento intimamente correlato al precedente riguarda il ruolo dell’associazionismo “di categoria”, del terzo settore in generale, che in questi anni – ma anche oggi ed auspicabilmente domani – hanno garantito alle fasce deboli della popolazione una vita dignitosa e rispettosa attraverso la creazione, il consolidamento ed il faticoso mantenimento di soluzioni e processi sociali ed assistenziali in sostituzione di un apparato pubblico sempre più in difficoltà e molto spesso privo di sensibilità e visione rispettose dei bisogni individuali quanto povero di capacità strategiche in relazione ai profondi cambiamenti dei quali sono oggetto il sociale e l’amministrazione della cosa pubblica. Lo sforzo pluridecennale di queste realtà, che racchiude esperienze sia di gratuità che di iniziativa imprenditoriale e che attualmente è interessato da una profonda riforma istituzionale e normativa, nel correre del tempo ha prodotto purtroppo anche alcune storture, “deviazioni”, che se non in rarissime eccezioni contribuiscono nel complesso alla sopravvivenza di una cultura paternalista ed assistenzialista certamente responsabile del sensibile ritardo con il quale oggi affrontiamo le difficoltà globali e nel contempo cerchiamo di cogliere le opportunità offerte dalle tecnologie e dalle metodologie ampiamente utilizzate in molti ambiti delle nostre complesse società.
Il Progetto OpenCare scardina completamente questo “visione”, ribaltandone completamente l’approccio, introducendo nei delicati ed un po’ sclerotizzati meccanismi dell’assistenza e del supporto alla persona concetti e paradigmi mutuati dalla cultura generale delle risorse aperte e liberamente condivisibili da tutti, in una sorta di “fai da te” riveduto ed aggiornato attraverso la disponibilità di strumenti flessibili e potenti a costi estremamente contenuti, che in modo radicale consentono di riposizionare il singolo individuo nella centralità dell’azione trasformandolo da semplice oggetto fruitore di prodotti e servizi generalizzati e spersonalizzanti, oltre che poco economici nelle complesse implementazioni, a soggetto creatore di un sapere accessibile, condivisibile ed esportabile nella sua essenzialità.
Una via percorribile, questo è il presupposto e nel contempo l’obiettivo del Progetto, che deve sicuramente sorprendere, sollecitare e coinvolgere soprattutto il “mondo” del bisogno, oltre a quello istituzionale ed economico sociale, per garantire un terreno “di coltura” favorevole all’avvio di iniziative e progetti che naturalmente rispettino l’integrità delle persone e delle loro legittime aspettative, che debitamente tengano conto del supporto e dell’impegno della collettività e che ne garantiscano l’azione solidale attraverso le buone pratiche di indirizzo e di governo locale, nazionale e transnazionale.
Le più che consolidate tecnologie della comunicazione ed il movimento che si alimenta e ne contribuisce la diffusione e la pervasività consentono infatti oggi di realizzare una “democrazia liquida”, che sfugge completamente ai vecchi canoni conosciuti dalla storia, attuando con maggiore puntualità e concretezza possibili percorsi e processi virtuosi per la qualità globale della nostra vita.
Il terzo ed ultimo elemento riguarda la mia dimensione personale.
Da alcuni anni, per via di una curiosità congenita e di una affinità professionale, osservo il mondo dei makers con crescente interesse alimentato costantemente dai “prodigi” dei prodotti complementari che consentono agli “artigiani del xxi secolo” di realizzare oggetti o soluzioni sorprendentemente efficaci quanto semplici. Arduino, orgoglio autentico del nostro “fare” italiano, insieme ad altri nomi e progetti di caratura internazionale letteralmente “rimorchiano” quanti, come lo scrivente, ad un primo stupore e ad una prima titubanza dettata dalla presunta inadeguatezza reagiscono con un progressivo coinvolgimento in azioni ed in attività che conducono ad una nuova percezione della realtà, via via più plasmabile a misura dei “bi-sogni”.
La mia disabilità fisica motoria congenita non mi consente di fatto l’azione diretta tramite la manipolazione fisica degli oggetti precludendomi una ampia serie di sensazioni ed emozioni che percepisco vissute nelle persone intorno a me. Tuttavia la mia intelligenza, la mia sensibilità e la mia creatività sopperiscono in buona misura ai miei limiti dandomi comunque la possibilità di vivere compiutamente l’incontro con questi inaspettati compagni di viaggio, l’Associazione WeMake prima ed il Progetto OpenCare dopo, che potenzialmente potrà tradursi anche nel compimento di un sogno coltivato sin dai tempi della prima giovinezza – divenire creatore di oggetti funzionali oltre che esteticamente validi – insieme a quanto desiderato oggi – realizzare prodotti e soluzioni di alta tecnologia nell’ambito della residenzialità autonoma per le persone con vari deficit fisico motori e cognitivi – nutrendo inoltre la segreta aspirazione di trovare finalmente una strada sulla quale realizzare questa mia importante dimensione esistenziale, a lungo in attesa di una autentica rivoluzione.